20 feb 2013

Goliarda Sapienza, L'università di Rebibbia


La scrittura de L'arte della gioia, romanzo "sfortunato" (che ricevette una pessima accoglienza da parte degli editori italiani e uscì postumo in un'edizione in piccola tiratura per Stampa Alternativa nel 1998), aveva ridotto Goliarda Sapienza (1924-1996) in uno stato di grave indigenza. Dopo aver tentato di rubare dei gioielli in casa di conoscenti, l'attrice e scrittrice catanese viene arrestata e reclusa a Rebibbia per un breve periodo. 
Questo l'antefatto della vicenda, di cui però non si fa menzione nel romanzo L'università di Rebibbia, pubblicato nel 1983, riedito da Rizzoli nel 2006 e da Einaudi nel 2012.
L'università di Rebibbia si apre con la scena del trasporto in carcere, una soggettiva di Goliarda sulla città che scorre fuori dal finestrino e appare "più sontuosa e immensa" dal sedile dell'auto con le sirene spiegate, stretta tra due uomini in divisa. 
Il mondo libero non entra in questo racconto che si apre e si chiude tra le mandate dei portoni blindati. Non entra mai, se non per esser soppesato nella sua pretesa "libertà" in quei momenti in cui Goliarda si osserva, sopresa, nell'atto di lasciar cadere molti dei vincoli che la legano all'anestetizzato ambiente intellettuale che abitualmente frequenta nella sua vita "là fuori".

Nel tempo dilatato di permanenza nel carcere romano, Goliarda assorbe e trattiene infiniti dettagli e sfumature d'impressioni di ogni campo sensoriale: corpo spogliato d'ogni sovrastruttura - tradito però, non appena arrivata all'aria dopo la prima notte di isolamento, dalla piega dei pantoloni di seta e dal bell'accento borghese -, ci restituisce il racconto di un'esplorazione tattile, uditiva, olfattiva.

«Nel ballatoio fra il fragore di risa, canti e urla di richiamo, molte sono in vestaglia indaffarate con secchi e scope. Una pila di piatti cade senza rompersi e mi rotola fra i piedi; qualcuno impreca contro tutti i santi del paradiso e del parlamento. Sento anche un boia Andreotti, un frocio Berlinguer... Mi fermo un attimo affascinata. E' la prima mattina che non corro subito all'aperto e l'affollamento che persiste lì sul ballatoio - malgrado le ore d'aria - non può non stupirmi. Una folla convulsa mi sfreccia intorno, sulla testa, dappertutto» (p. 65).

Lungo le pagine risuonano a intermittenza un'eco pasoliniana, quella della ricerca di un'evasione e di un'utopica comunità possibile proprio lì, nel sottiproletariato carcerario, e una venatura romantica che conferisce una luce naif, narrativamente certo accattivante, alla concretezza delle immagini così vivide che restituiscono uno scorcio interno sulla sezione femminile del carcere romano e sugli effetti ambigui della riforma carceraria (1975) al volgere degli anni di piombo.

«...Oh, ci hanno chiuse! Quando è successo? Non me ne sono accorta...
- Mentre parlavi...
-Meglio così, se superi il momento del clack dopo si sta bene... Piove anche...
Come Ornella ci aveva annuniato nella mattinata, valanche d'acqua battono alla vetrata come onde d'oceano in piena tempesta, e la piccola cella si tramuta in uno scomparto di sottomarino...»

Per Einaudi è ora appena uscita anche una riedizione del seguito di questo romanzo: il ritorno al mondo libero, il ricordo del carcere, il confronto con la condizione dell'esser stati "socialmente puniti": Le certezze del dubbio, Einaudi 2013.

Nata a Catania nel 1924  da una famiglia di tradizione socialista, Goliarda Sapienza si trasferisce a Roma a sedici anni dove studia all'Accademia di Arte Drammatica. Negli anni Cinquanta e Sessanta lavora a teatro e al cinema, recitando anche in film di Luchino Visconti, Alessandro Blasetti e Citto Maselli. Scrive vari romanzi ma ne pubblica solo una parte: Lettera aperta (1967), Il filo di mezzogiorno (1969), L'università di Rebibbia (1983) e Le certezze del dubbio (1987). Escono postumi, consacrando la scrittrice a un successo internazionale, L'arte della gioia (1998), Destino coatto (2002), Io, Jean Gabin (2010) e Il vizio di parlare a me stessa (2011).

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